La prova dello stalking: stato di ansia e di turbamento della vittima non deve essere provata mediante relazioni o certificazione mediche ma anche solo con le dichiarazioni della vittima
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 45184 del 11.11.2015 ha chiarito che “ per quanto attiene al reato di stalking, con riferimento alla prova nella persona offesa di un grave e perdurante stato d’ansia e di timore, occorre far riferimento ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche dalla condotta di quest’ultimo”.
Dunque, non occorre la rigorosa prova di una relazione medica o psicologica al fine di assolvere all’onere della prova della sussistenza dell’evento cagionato, essendo necessaria esclusivamente una prova di natura testimoniale, meglio se resa da più testimoni oltre che dalla persona offesa dal reato.
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Ebbene la prova di tale evento “deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata”.
Su dovrà valutare l’attendibilità delle dichiarazioni della vittima con estremo rigore per evitare il pericolo di abusi. Dunque, la deposizione della vittima può essere assunta da sola come unica fonte di prova se sottoposta ad un riscontro di credibilità oggettiva (in base, cioè, ai fatti storici della vicenda) e soggettiva (in base, cioè, alla personalità dell’accusatore).