Diritto all’oblio: indicazione specifica di risultati di cui si chiede la rimozione

La Cassazione civile sez. I del 21/07/2021, n. 20861 affronta la questione del diritto all’oblio con riferimento alla specificità della domanda: devono essere specificatamente indicati i risultati della ricerca di cui si chiede la rimozione.

Il caso

L’attore chiedeva di accertare il proprio diritto ad ottenere la rimozione, dal motore di ricerca Google, di tutti i risultati che comparivano digitando il proprio nome.
Rilevava infatti che tali risultati, consistenti in articoli giornalistici che associavano il suo nome a una vicenda di cronaca, risultavano inadeguati ed eccessivi in relazione allo scopo per i quali erano stati pubblicati.

La motivazione della Cassazione

La Cassazione individua due questioni, tra loro connesse:

  • una, di natura sostanziale, incentrata sulla inesigibilità di una condotta del provider consistente nella rimozione, dal motore di ricerca, di contenuti indeterminati;
  • l’altra, di natura processuale, vertente sulla necessità, o meno, di indicare, nell’atto introduttivo del giudizio inibitorio D.lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, inteso alla deindicizzazione, i dati identificativi – in particolare gli URL – dei contenuti di cui si domanda la cancellazione.

In che consiste l’attività del motore di ricerca Google

La Cassazione nella motivazione evidenzia come l’attività di Google, quale motore di ricerca, sia riconducibile alla previsione dell’art. 13.1 della dir. 2000/31/CE, che contempla la prestazione del servizio di caching, consistente nella memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta.

Differenza con le attività di mere conduit e hosting

Essa si differenzia dall’attività di mere conduit, che si sostanzia nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione (art. 12.1 dir. cit.) e dall’attività di hosting, consistente nella memorizzazione di informazioni a richiesta di un destinatario del servizio (art. 14.1), la quale è individuata, principalmente, nella fornitura di spazi digitali deputati ad ospitare i siti web degli utenti (ma anche in altre, come ad esempio i servizi promozionali di posizionamento che si avvalgono di parole chiave, come gli Ad Words).

Quali obblighi?

Per tutte le indicate attività l’art. 15 dir. 2000/31/CE dispone che gli Stati membri non impongano ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Responsabilità del prestatore

La Corte di giustizia ha da tempo chiarito che, ove non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati, il prestatore non possa essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o di disabilitare l’accesso agli stessi (Corte giust. UE, Grande sezione, 23 marzo 2010, C-236/08, C-237/07 e C-238/08, Google France, 120).

L’obbligo di intervento nel campo del c.d. diritto all’oblio

Analogo obbligo di intervento è stato riconosciuto nel campo del c.d. diritto all’oblio.

Il diritto alla cancellazione («diritto all’oblio») è previsto all’art. 17 del GDPR

Il provider può essere tenuto ad eliminare dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative alla stessa persona.

Obbligo di intervento

In tale ambito l’obbligo di intervento trova fondamento nell’attività, da qualificarsi come trattamento dati personali, del motore di ricerca consistente:

  • nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su internet,
  • nell’indicizzarle in modo automatico,
  • nel memorizzarle temporaneamente
  • nel metterle a disposizione degli utenti della rete secondo un determinato ordine di preferenza

Così ha stabilito la Corte di Giustizia UE 13 maggio 2014, Grande sezione, Google Spain e Google, C.131/12, 41.

Lo stesso gestore deve assicurare che l’attività svolta osservi le prescrizioni della direttiva 95/46/CE relativa al trattamento di tali dati.

In conclusione sul punto

In tema di diritto all’oblio, dunque, l’obbligo di intervento dell’internet service provider presenta un fondamento diverso rispetto a quello che si delinea ove venga in questione la violazione dei diritti di proprietà intellettuale.

L’obbligo di intervento dell’internet service provider presuppone sia nel caso di violazione dei diritti di privativa, sia nel caso in cui venga in questione il trattamento dei dati personali, la precisa conoscenza, da parte dello stesso prestatore di servizi, dei contenuti passibili di rimozione.

La specifica indicazione dei contenuti che si chiede di rimuovere.

L’indicazione dei contenuti di cui è domandata la rimozione è ovviamente indispensabile in quanto è attraverso tale indicazione che è possibile individuare il petitum mediato della pretesa.

Nella materia della deindicizzazione, l’obbligo di intervento del provider non è assoluto e illimitato, quanto, piuttosto, condizionato dalla possibilità, da parte di detto soggetto, di prendere atto dell’interferenza delle informazioni, reperibili attraverso l’attività del motore di ricerca, con i diritti fondamentali della persona, e quindi anche con quello alla riservatezza.

Se la richiesta è generica

In presenza di una doglianza generica, che non identifichi le informazioni che ledano il diritto del singolo alla protezione dei propri dati personali ci troviamo di fronte ad una domanda che non individua i contenuti rispetto al quale possa ritenersi esigibile, in concreto, l’intervento del prestatore del servizio.
Pertanto la mancata individuazione dei risultati ottenuti attraverso ricerche condotte a partire dal nome della persona, rende indeterminata la domanda.

La richiesta deve indicare gli elementi fattuali, desumibili dalla precisa rappresentazione dei risultati che si intendono rimuovere , che consentono di procedere al giudizio di bilanciamento tra i diritti in conflitto. Tale giudizio, come si legge nella sentenza, costituisce un momento centrale della decisione avente ad oggetto la deindicizzazione e su cui, naturalmente, il convenuto deve poter prendere posizione.

LEGGI ANCHE: Instagram: quando una foto è diffamatoria

Conclusione

Ai fini della determinazione del petitum mediato, la domanda di deindicizzazione esige la precisa individuazione dei risultati della ricerca che l’attore intende rimuovere.

E’ necessaria l’indicazione degli indirizzi telematici, o URL, dei contenuti rilevanti a tal fine. Non è escluso che una puntuale rappresentazione delle singole informazioni che sono associate alle parole chiave possa rivelarsi, secondo le circostanze, idonea a dare precisa contezza della cosa oggetto della domanda, in modo da consentire al convenuto, gestore del motore di ricerca, di apprestare adeguate e puntuali difese sul punto.