L’”Apologia di reato” sui social network: attenzione all’uso dei social

Attenzione a condividere materiale o mettere like a pagine di propaganda jihadista: può costituire reato

L’apologia di reato è la condotta che consiste nel difendere o nell’esaltare fatti o comportamenti illeciti, o comunque contrari alle leggi e si differenzia dall’istigazione per una minore capacità di influenzare i soggetti cui è rivolta.

Tale reato, è previsto insieme all’istigazione a delinquere dall’art 414 codice penale comma 3 e 4:

“Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:

1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;

2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.

Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1.

Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.”

Nel nostro ordinamento, oltre alla norma generale dell’art. 414 c.p ci sono specifiche fattispecie di reato che sanzionano l’apologia quali, ad esempio, la propaganda che possa determinare il pericolo della ricostituzione del partito fascista sanzionata dalla legge 20.6.1952 n. 645; oppure la legge 13 ottobre 1975 n. 654 che punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere atti di discriminazione o di violenza per motivi razziali etnici, nazionali o religiosi.

Ovviamente, non tutte le espressioni costituiscono reato, non potendosi violare il principio di libera manifestazione del pensiero ex art. 21 costituzione.

La Consulta, infatti, già nel 1970 ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata per contrasto con l’art. 21 della Costituzione, che tutela il diritto alla libera manifestazione del pensiero ed ha affermato che l’art. 414 terzo comma c.p., deve essere interpretato nel senso che esso punisce solo le condotte che per le loro modalità integrano comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di delitti.

La condivisione sui social network

Con la sentenza n. 11582 del 25.03.21, la Suprema corte di Cassazione, Sezione I penale, ha ritenuto che la diffusione sui social network di materiale di propaganda jihadista sia idonea ad integrare l’apologia di reato, posto che i social determinano anche un potenziamento della diffusione del materiale non controllabile facilmente e particolarmente rapido, con conseguente pericolo di emulazione di atti di violenza o anche di adesione all’associazione terroristica che li propugna ex art. 270 bis c.p. (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico)

Certamente, nel caso di specie, non si trattava di un semplice “like”, ma la decisione deriva da un caso specifico in cui l’imputato aveva pubblicato e condiviso attraverso Facebook contenuti multimediali di sostegno, esaltazione ed incitamento alla jihad, aveva anche condiviso la propaganda dell’Isis contro i cristiani, impostando il vessillo dei gruppi terroristici sostenuti come immagine del proprio profilo, ed affettuato altre condivisioni provenienti anche direttamente dalle associazioni terroristiche.

Ebbene, nel caso di specie, la Suprema Corte ha riconosciuto la potenzialità incoraggiante e diffusiva di una campagna “contro l’occidente”, rilevando che a nulla vale l’assenza o l’esiguità di amici o followers del profilo stesso, come irrilevante è anche la quantità assai ridotta di condivisioni e apposizioni di “like”.

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La Suprema Corte ha inoltre ribadito che, sia l’istigazione che l’apologia, costituiscono fattispecie di pericolo concreto, per la loro configurazione è dunque necessario un comportamento che sia concretamente idoneo, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di reati, pertanto, l’accertamento concreto se l’esaltazione apologetica di un fatto di reato sia idonea, per le sue modalità ad integrare il reato ex art. 414 c.p., è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato.”

Anche la valutazione relativa all’esercizio della libertà di espressione ex art. 21 Cost., deve essere rapportata al contenuto oggettivo dei materiali e alla loro provenienza da una organizzazione come l’Isis.