Società: la fusione per incorporazione estingue la società incorporata

La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore. Così la Cassazione civile sez. un. del 30 luglio 2021 n. 21970.

Fusione di società: di cosa si tratta

Ai sensi dell’art. 2501 c.c., la fusione si attua mediante la costituzione di una nuova società o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre.
La peculiarità dell’operazione, analogamente alla scissione, sta nella prosecuzione dei soci nell’attività d’impresa mediante una diversa struttura organizzativa, una volta, evidentemente, venuto meno l’interesse, l’utilità o la possibilità di perseguirla con la società dapprima partecipata.

La società originaria a seguito della cancellazione dal registro si estingue sia come organizzazione sia come soggetto giuridico?

La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, per dirimere il contrasto giurisprudenziale ed in quanto il caso affrontato concerne non soltanto ogni tipo di giudizio in cui sia parte una società, ma che anche altri settori dell’ordinamento, diversi dal diritto societario, che sono suscettibili di seguire la stessa disciplina (ad esempio in tema di fusione e scissione di associazioni e fondazioni).

Le due tesi contrapposte

La tesi della natura evolutivo-modificativa con sopravvivenza della società incorporata o fusa.

Poco dopo l’entrata in vigore della riforma introdotta dal D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha avuto seguito la tesi secondo cui, ai sensi del nuovo art. 2504-bis c.c., la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
Con riguardo alla posizione processuale passiva, numerose pronunce hanno affermato che la società incorporata o fusa possa essere convenuta in giudizio.

La tesi dell’estinzione con effetto devolutivo-successorio.

La Cass. 19 maggio 2020, n. 9137 ha affermato la tesi secondo cui, ove la società sia incorporata in altra, la legittimazione attiva all’impugnazione spetta alla società incorporante.
Una precedente decisione della Cass. 2 marzo 2020, n. 5640, conclude per l’inammissibilità della domanda proposta dalla società incorporata, in quanto reputa legittimata all’azione la sola società incorporante.
Già in precedenza, alcune pronunce hanno cominciato ad affermare che solo la società incorporante, non l’incorporata estinta per incorporazione, possa essere la destinataria dell’atto di impugnazione, considerato che il nuovo art. 2504-bis c.c. ha sancito il subentro in tutti i rapporti preesistenti anche processuali “all’evidente fine di evitare irragionevoli interruzioni del giudizio, contrarie, peraltro, ai principi del giusto processo“.

La ricostruzione operata dalla Cassazione Sezioni Unite

La Cassazione a Sezioni Unite ha operato l’esame della questione mediante i criteri ermeneutici imposti dall’art. 12 preleggi, della disciplina complessiva della fusione e degli elementi normativi evincibili dal sistema del codice civile e delle leggi speciali, in una col diritto interno, tenendo altresì conto delle direttive comunitarie ed Eurounitarie, trattandosi di materia armonizzata.
Gli aspetti “sostanziali” della vicenda della fusione societaria che si possono riassumere in quelli della concentrazione, della successione e dell’estinzione – non possono essere disgiunti da quelli “processuali”: occorre, infatti, stabilire una coerenza fra di essi, derivando peraltro i profili processuali dalla questione concreta che venga all’esame nel giudizio.

In conclusione non sussiste la facoltà di intraprendere un giudizio in capo al soggetto estinto per fusione.

Una società ormai estinta:

  • non è soggetto di diritti e
  • neppure ha la capacità e la legittimazione processuale per farli valere, essendo stati trasferiti alla società incorporante o risultante dalla fusione.

Ne deriva che, ove essa intraprenda un giudizio, ciò avviene sulla base di una valutazione operata dai precedenti organi, i quali però non sono ormai più tali, spettando una simile valutazione all’esclusiva titolare, la società incorporante, per mezzo del suo legale rappresentante.

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Se la perduranza di quei rapporti giuridici nel soggetto incorporante o unificato giustifica:

  • da un lato, il medesimo ad agire per tutelarli, al fine di vedere realizzate le sue pretese,
  • dall’altro lato non autorizza però la società incorporata o fusa a farle valere essa stessa.

Non si dà dunque applicazione dell’istituto della ratifica degli atti compiuti dal falsus procurator, perché qui non è tale il rappresentante, ma diverso è l’effettivo titolare del diritto.
Quest’ultimo, però, ha la facoltà di intervenire in giudizio, una volta che il medesimo sia stato ormai instaurato dal non legittimato.

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Principio di diritto

La Cassazione ha dunque espresso il seguente principio di diritto:
La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., nel rispetto delle regole che lo disciplinano”.