Adozione in casi particolari: consenso del genitore

Nelle adozioni in casi particolari, non è sempre necessario il consenso del genitore che esercita la responsabilità genitoriale

L’art. 44 della legge 184/1983 espressamente sancisce che “1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e  duraturo, (anchematurato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento) quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli. 3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui  alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”.

In particolare, secondo quanto previsto dalla lettera b) il coniuge (si tratta esclusivamente di persone unite in matrimonio) può adottare il figlio dell’altro coniuge. Ci si è chiesti, all’indomani dell’introduzione della norma, se l’altro genitore potesse o meno opporsi all’adozione, nell’ipotesi di esercizio della responsabilità genitoriale.

La giurisprudenza di legittimità ha subìto una intensa evoluzione in quanto, se le prime pronunzie prevedevano quale motivo ostativo all’adozione il dissenso del genitore che esercitava la responsabilità genitoriale, ora il Tribunale per i Minorenni può vagliare caso per caso l’incidenza del ruolo del genitore dissenziente nella vita del minore ed autorizzare l’adozione laddove non ravvisi un legame tale da impedire il formalizzarsi della domanda presentata ai sensi dell’art. 44 lettera b).

La sentenza che ha fatto applicazione definitiva di questi principi in materia di filiazione fuori dal matrimonio è stata Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265 che in un caso di adozione del figlio del proprio coniuge ex art. 44 della legge 184/83 in cui è previsto il necessario consenso all’adozione dell’altro genitore esercente la “potestà”, ha ritenuto di dare rilevanza al dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente considerandolo esercente della “potestà”. La sentenza ha affermato che in tema di adozione in casi particolari, aveva efficacia preclusiva il dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente dovendo egli ritenersi comunque “esercente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore; invero, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’esercizio della “potestà” in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’art. 317 bis cod. civ..

Il principio della bigenitorialità ha, infatti, informato di sé il contenuto precettivo della norma citata, eliminando ogni difformità di disciplina tra figli legittimi e naturali, cosicché la cessazione della convivenza tra genitori naturali non conduce più alla cessazione dell’esercizio della “potestà” (ora responsabilità).
Pertanto, per concludere, l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione non poteva non prescindere l’estensione a questo caso dell’ipotesi prevista dall’art. 46 della legge 4 maggio 1983, n. 184 prevedeva per l’adozione in casi particolari l’assenso insuperabile dei genitori del minore esercenti la responsabilità genitoriale con la conseguenza che – con riferimento alla lettera b dell’art. 44 – l’altro genitore (sia in caso di figlio nato nel matrimonio sia di figlio nato fuori dal matrimonio) poteva sempre paralizzare la pretesa di adozione del figlio da parte del coniuge del proprio ex partner, senza che fosse possibile in alcun modo al Tribunale per i minorenni pronunciare l’adozione ritenendo “il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando” in quanto, come si ripete, l’art. 46 non consentiva di superare in alcun modo il dissenso del genitore esercente la responsbailità genitoriale.

Nella precedente giurisprudenza di legittimità Cass. civ. Sez. I, 5 agosto 1996, n. 7137 aveva dato per scontato che l’esercizio della “potestà” non spettasse al genitore non affidatario e quindi il dissenso del genitore non affidatario era sempre superabile.

Ad analoghe conclusioni sono giunti App. Napoli, 27 aprile 2011 secondo cui l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. b non è misura sanzionatoria, ma uno strumento di tutela del preminente interesse del minore, sicché il giudice minorile può disporla anche senza il consenso del genitore che non esercita la “potestà” genitoriale, e pur se questi non sia stato destinatario di provvedimenti limitativi e/o ablativi della “potestà” genitoriale, allorché tale opposizione sia ritenuta ingiustificata rispetto all’interesse del minore stesso. Ugualmente in passato hanno ammesso l’adozione ritenendo ingiustificato il dissenso del genitore Trib. Minorenni Sassari, 14 novembre 2002; Trib. Minorenni Perugia, 10 ottobre 1995; App. Torino, 3 dicembre 1994.

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Ebbene in linea con quest’ultimo orientamento si è posta recentemente una decisione della Cassazione con la quale si è in sostanza interpretato l’art. 46 della legge 184/83 accogliendo l’interpretazione secondo cui “il dissenso è superabile nei casi in cui il genitore non ha il concreto ed effettivo esercizio della responsabilità genitoriale” (Cass. civ. Sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575).

In altre parole affinché il dissenso del genitore sia ostativo all’adozione non è sufficiente la mera titolarità della responsabilità genitoriale ma ne serve il concreto ed effettivo esercizio.