La “natura giuridica” delle criptovalute è necessaria per individuare la disciplina applicabile alle transazioni realizzate.

La definizione data dal Tar Lazio con la sentenza n. 1077/2020
Il caso nasce dalla ritenuta legittimità o meno di un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 72/E, 2 settembre 2016) sollevata da associazioni che promuovono la diffusione della tecnologia identificata sotto il nome di “Blockchain” e che rappresentano gli interessi e le istanze di tutti i soggetti che svolgano le attività ad essa connesse o riconducibili.
La sentenza individua anche i profili fiscali connessi alla detenzione delle valute virtuali.
La questione affrontata dal Tar riguarda la qualificazione giuridica delle criptovalute, anche in funzione del loro concreto utilizzo.
Per il Tar le valute virtuali vanno qualificate come “beni” immateriali.
Infatti, da un lato non svolgono le funzioni tipiche della moneta, per via della loro estrema volatilità, dall’altro lato manca loro il potere liberatorio nei pagamenti.
La natura giuridica ha sollevato dubbi dottrinali e giurisprudenziali in mancanza di un quadro normativo nazionale di riferimento.
Definizione di valuta virtuale
In Italia l’art. 1 del d.lgs n. 90 del 2017 (modificato dal d.lgs.125/2019) ha introdotto nel d.lgs. 231/2007 la definizione di valuta virtuale.
Le criptovalute sono definite come «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente».
La norma nazionale ha recepito la direttiva antiriciclaggio (art. 1, lett. d) della direttiva 2018/843/UE), introducendo l’impiego della valuta virtuale con finalità di investimento, come alternativa a quella di scambio.
Tassazione
Occorre individuare l’oggetto dell’imposizione coerentemente con la natura effettiva delle valute virtuali detenute e in funzione dell’utilizzo che ne venga fatto.
La nozione “funzionale” della moneta virtuale comporta che è soggetta a tassazione non la moneta virtuale come mezzo finanziario in sé, ma l‘utilizzo della moneta virtuale ai diversi fini che essa rende possibili (finanziari o di acquisto di beni e servizi, a seconda dei casi).
Il trattamento fiscale dell’uso della moneta elettronica ricade, nel caso affrontato dal TAR, entro il novero dell’art. 67 del DPR 22/12/1986 n. 917, come indicato nelle Risoluzioni dall’Agenzia delle Entrate.
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Nella sentenza si legge che:
- non sono soggette a tassazione le operazioni “spot”, in quanto manca la finalità speculativa, salvo plusvalenze o minusvalenze allorquando la valuta derivi da prelievi da portafogli elettronici o “wallet” – conti digitali, per i quali la giacenza media superi i limiti meglio indicati all’art. 67 TUIR, comma 1, lett. c-ter e comma 1 ter;
- sono soggetti a tassazione come redditi diversi di natura finanziaria :
- i redditi derivanti da cessioni a termine, ex art. 67 TUIR, comma 1, lett. c-ter;
- quelli derivanti dalle operazioni sul mercato FOREX e CFD ex art. 67, comma 1, lett. c – quater) del TUIR. Nel caso in cui tali redditi sono percepiti da persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, sono soggetti ad imposta con aliquota sostitutiva del 26 per cento, a norma dell’articolo 3, comma 1 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89, e sono da indicarsi nel quadro RT del relativo Modello.