Prostituzione: tassabilità dei proventi dell’attività di meretricio

La questione della tassabilità dei proventi dell’attività di prostituzione ha suscitato sempre interesse e sollevato problematiche sia etiche che giuridiche.

Prostituzione tassabilità

Il fenomeno

La repressione dello sfruttamento della prostituzione già prevista dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo, in Italia è sfociata con la promulgazione della legge Merlin.
Tale legge se da un lato aveva come ratio quella di eliminare lo sfruttamento delle donne, dall’altro ha fatto sì che l’attività, mai debellata, non abbia ad oggi alcuna regolamentazione.
La mancanza di una regolamentazione comporta che le prostitute non possano procedere all’iscrizione alla Camera di Commercio, se non attraverso attività fittizie, e non godano di tutele assistenziali e previdenziali.
Per di più il commercialista che tenesse loro la contabilità potrebbe incorrere nel reato di favoreggiamento.
In altri Paesi Europei, chi esercita l’attività di prostituzione assume la veste di contribuente e deve provvedere al pagamento delle imposte e tributi in base al reddito.
Ha poi tutele previdenziali ed assistenziali.

La giurisprudenza

Sentenze tributarie hanno stabilito che il reddito derivante dall’attività di prostituzione deve essere sottoposto a tassazione, in quanto è espressione di una attività economica costituita da prestazione e controprestazione monetaria.

La Corte di Cassazione civile sez. trib., 27/07/2016, n.15596 ha stabilito che, in tema di Irpef, i proventi dell’attività di prostituzione svolta autonomamente sono assoggettabili ad imposta atteso che si tratta di prestazioni di servizi retribuite e, pertanto, di attività economica, peraltro, di per sé priva di profili di illiceità, a differenza del suo sfruttamento o favoreggiamento, i cui introiti, derivando da un reato, prima ancora che imponibili, sono confiscabili.
I redditi dell’attività di prostituzione:

  • sono riconducibili alla categoria dei redditi di lavoro autonomo, in caso di esercizio abituale,
  • o a quella dei redditi diversi, in caso di esercizio occasionale.
    Di recente anche Cassazione n. 19781/2020.

Le norme applicabili

L’art. 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede che i proventi derivanti da illecito civile, penale o amministrativo (che non siano già stati interamente sottratti al possessore a mezzo di provvedimento di sequestro o confisca penale) sono sottoposti a tassazione in quanto classificabili in una delle categorie reddituali previste dal citato art. 6.
L’art. 36, comma 34- bis,  del D.L. n. 223 del 2006,  convertito nella L. n. 248 del 2006, ha stabilito che i proventi illeciti indicati dall’art. 14, comma 4, “sono considerati comunque come redditi diversi”.
La natura reddituale attribuita ex lege ai proventi delle attività illecite, con la conseguente tassabilità quali “redditi diversi“, comporta, a maggior ragione, che venga riconosciuta natura reddituale all’attività di prostituzione, di per sé priva di profili di illiceità.
Al contrario costituisce illecito penale ogni attività di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione altrui a norma della L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3. Tale attività è parzialmente tutelata dallo stesso ordinamento civile che comprende la prestazione sessuale dietro corrispettivo nella categoria della obbligazione naturale, la quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona che ha svolto l’attività di meretricio il diritto di ritenere legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione (art. 2035 c.c.).

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Corte di giustizia

La Corte di giustizia con la sentenza del 20.11.2001, causa C-268/99, ha affermato che ” la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attività economiche”, e che “spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che la prostituzione sia svolto come lavoro autonomo“, ossia al di fuori di fenomeni di induzione, costrizione o sfruttamento della prostituzione altrui.