La vendita di criptovalute: è un vero strumento finanziario

Vendita di Criptovalute: I giudici di Piazza Cavour hanno affrontato il tema della natura dei Bitcoin in una sentenza una del 17 settembre 2020

In quella occasione la Cassazione ha pertanto stabilito che i bitcoin possono essere ricompresi tra gli strumenti finanziari (non tanto lo sono i bitcoin in sé quanto la vendita), ciò per la particolare natura della proposta di scambio contenuta in una piattaforma di trading di criptovalute.

I Giudici della Suprema corte infatti, hanno dichiarato che :  “ la vendita di bitcoin veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, tanto che sul sito ove veniva pubblicizzata si davano informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, affermando che “chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%”; trattasi pertanto di attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF, la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett. c) TUF.”

La corte di Cassazione, Sez II Penale, con la sentenza 2 ottobre 2020, n.  28607, successivamente, ricalcando lo stesso passo, pronuncia un’altra sentenza. La questione di merito decisa dalla sentenza riguardava il respingimento di un ricorso al riesame avverso un sequestro disposto dal GIP di Milano in una fattispecie che riguarda l’esercizio abusivo di intermediazione finanziaria ( art. 166, comma 1, lett. c del TUF) commesso da un privato che inoltre era accusato di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), avendo commesso entrambi i reati mediante la movimentazione di Criptovalute fra spazi di trading diversi.

In risposta alle argomentazioni del ricorso presentato alla Cassazione penale, con il quale veniva sostenuto che «poiché le valute virtuali non sono prodotti di investimento, ma mezzi di pagamento, le stesse siano sottratte alla normativa in materia di strumenti finanziari», i magistrati hanno osservato come tale censura non si confrontasse però con la motivazione dell’ordinanza impugnata, ove si sottolineava che la vendita di bitcoin veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, tanto che sul sito ove veniva pubblicizzata si davano informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, ricordando proprio quanto prima richiamato sulla sentenza del 17 settembre 2020, in merito agli incrementi di capitale del 97% per gli investitori in questa criptovaluta.

Per questo la Cassazione ha confermato che trattasi di attività soggetta alla normativa del Tuf.  Seguendo tale ragionamento, non ha manifestato dubbi che in materia di bitcoin possa configurarsi la fattispecie del reato di riciclaggio.

Del resto, in più occasioni la dottrina ha sottolineato sul punto che la fattispecie include i beni immateriali riconducibili a un’essenza economico-finanziaria, definizione compatibile con i tratti essenziali delle criptovalute, le quali sono certamente beni, come descritti dal codice civile, e anche se non lo fossero rientrerebbero certamente nel concetto di altra utilità.

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Evidenziato ciò quindi, nonostante i vizi consistenti nella sproporzione tra la somma sequestrata e il reddito dichiarato e alla attività economica svolta dall’indagato, che hanno portato all’annullamento dell’ ordinanza impugnata, rileva ai fini dell’ individuazione di un filone giurisprudenziale in materia di cripto valute, quanto emerso dalla precisazione della Suprema Corte.