Il cittadino extra Ue può autocertificare i redditi per il patrocinio

Cittadino extra Ue : la Corte Costituzionale con la pronuncia del 20/07/2021 n.157 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 79 comma 2 d.p.r. 115/2002

Certificazione redditi cittadino Extra Ue

La questione rimessa alla Corte Costituzionale

Nasce dal reclamo proposto da due cittadini indiani per la revoca dell’esclusione all’ammissione al gratuito patrocinio.

La Commissione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha rigettato le istanze, perché i ricorrenti non avevano prodotto la certificazione dell’autorità consolare competente che, ai sensi dell’art. 79, comma 2, T.U. spese di giustizia, avrebbe dovuto attestare la veridicità di quanto indicato relativamente ai redditi prodotti all’estero.

Il cittadino Extra Ue può autocertificare i redditi

La pronuncia “additiva” della Corte

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui non consente al cittadino di uno Stato non aderente all’Unione europea di presentare, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione sui redditi prodotti all’estero, qualora dimostri – nei termini illustrati nelle motivazioni , ossia provando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza – l’impossibilità di produrre la richiesta documentazione.

Ricostituisce la legittimità costituzionale dell’articolo in questione integrando la previsione sull’onere probatorio, con la possibilità per l’istante di produrre, a pena di inammissibilità, una «dichiarazione sostitutiva di certificazione» relativa ai redditi prodotti all’estero, una volta dimostrata l’impossibilità di presentare la richiesta certificazione.
In questo modo, analogamente a quanto previsto per il processo penale e per l’impugnazione in sede giurisdizionale dello status di rifugiato, la disposizione censurata può essere resa conforme alla disciplina generale che concretizza il principio di autoresponsabilità.

Le motivazioni della Corte Costituzionale:

Inquadramento della norma censurata

Rientra nella disciplina sul patrocinio a spese dello Stato, volto  a dare attuazione alla previsione costituzionale, secondo cui devono essere assicurati «ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.).
La natura inviolabile del diritto ad accedere ad una tutela effettiva, ai sensi dell’art. 24, terzo comma, Cost., non lo sottrae al bilanciamento di interessi che, per effetto della scarsità delle risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela.

Equilibrio tra diritto di difesa e contenimento della spesa

La Corte «ha sottolineato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018)» (sentenza n. 47 del 2020).

Discrasia tra le norme

Il testo unico in materia di spese di giustizia introduce, nell’art. 119, con riferimento al patrocinio a spese dello Stato nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario, una equiparazione al trattamento previsto per il cittadino italiano di quello relativo allo «straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare».
L’art. 79, comma 2, T.U. spese di giustizia stabilisce che, per i soli cittadini di Paesi non aderenti all’Unione europea, «i redditi prodotti all’estero [debbano essere certificati dalla] autorità consolare competente, che attest[i] la veridicità di quanto in essa indicato», senza contemplare alcun rimedio all’eventuale condotta non collaborativa di tale autorità e, dunque, all’impossibilità di produrre la relativa certificazione.
Per converso, nella disciplina riservata al processo penale, l’art. 94, comma 2, T.U.spese di giustizia prevede che «in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione».

Certificazione autorità consolare

L’art. 79, comma 2, T.U. spese di giustizia si avvale del mero criterio della cittadinanza.
Richiede, stando alla sua lettera, la certificazione dell’autorità consolare competente per i redditi prodotti all’estero solo ai cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea e non anche a quelli italiani o ai cittadini europei, che pure possano aver prodotto redditi in Paesi terzi rispetto all’Unione europea.
La medesima disposizione sembra pretendere dai cittadini degli Stati non aderenti all’Unione europea la certificazione consolare per qualsivoglia reddito prodotto all’estero, compresi quelli realizzati in Paesi dell’Unione.

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Presunzione che lo straniero abbia redditi all’estero

Più precisamente, la norma censurata sottende, secondo il diritto vivente, una presunzione che lo straniero abbia redditi all’estero.
Tale presunzione implica un onere gravoso, specie quando la prova abbia un contenuto negativo, poiché tali redditi in effetti non sussistono.
Questa ipotesi non può considerarsi rara, in quanto è proprio lo stato di indigenza ad indurre le persone ad emigrare.
Inoltre, sempre la norma censurata consente di vincere la presunzione solo con le forme documentali da essa previste, vale a dire con la certificazione dell’autorità consolare competente, prescindendo dall’eventuale esistenza di altre prove circa l’effettiva consistenza dei propri redditi all’estero.

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Contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della costituzione

Il profilo che evidenzia il vulnus costituzionale dell’art. 79, comma 2, T.U. spese di giustizia consiste nel far gravare sull’istante il rischio del fatto del terzo (ossia l’autorità consolare), la cui eventuale inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre tempestivamente la corretta certificazione richiesta.

Il rischio della impossibilità di produrre una specifica prova documentale richiesta per ottenere il godimento del patrocinio a spese dello Stato, impedisce – a chi è in una condizione di non abbienza – l’effettività dell’accesso alla giustizia.
Ciò non consente l’esplicazione del diritto alla tutela giurisdizionale.