Nel caso di fecondazione assistita, il padre non può più revocare il consenso all’impianto dell’embrione in caso di ovulo già fecondato
La possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita è stata giuridicamente disciplinata dalla Legge n. 40 del 19 febbraio 2004, alla quale sono stati apportati dei correttivi per effetto di una celebre pronuncia della Corte Costituzionale in tema di fecondazione eterologa. Per effetto poi di alcune pronunce dei giudici di merito, sono stati delineati i caratteri del consenso informato che la coppia è chiamata ad esprimere al medico curante. Vediamo quali sono i caratteri di questa pratica.
Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.
Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono applicate in base ai seguenti principi:
- a) gradualità, al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività;
- b) consenso informato, da realizzare ai sensi dell’articolo 6.
La legge del 2004 aveva vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo la sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale ha sancito la piena legittimità di questa pratica medica. La fecondazione eterologa è quel tipo di fecondazione mediante inseminazione intrauterina o in vitro dove uno o entrambi i gameti utilizzati non appartengono alla coppia, ma provengono da un donatore e/o da una donatrice Possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.
Prima del ricorso a questa pratica ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita il medico informa in maniera dettagliata la coppia sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro.
Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. Queste informazioni e quelle concernenti il grado di invasività delle tecniche nei confronti della donna e dell’uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa. Alla coppia devono essere prospettati con chiarezza i costi economici dell’intera procedura qualora si tratti di strutture private autorizzate.
La volontà di entrambi i soggetti di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è espressa per iscritto congiuntamente al medico responsabile della struttura.
Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo. Il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione.
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Secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 30294/2017, nel caso in cui l’embrione sia venuto ad esistenza non è più possibile revocare il consenso all’impianto.
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Accade purtroppo che, in caso di embrioni crioconservati, le coppie si lascino o si separino per motivi anche estranei alla pratica della fecondazione. In questo caso è stata sancita, prima dalla Suprema Corte e poi dai giudici di merito, anche con recenti pronunce, la possibilità per la donna di provvedere all’impianto anche senza il consenso dell’uomo, con conseguenze giuridiche rilevanti in sede di eventuale mantenimento e crescita della prole.