Revenge porn: quando anche un click distrugge una persona

Il revenge porn o vendetta pornografica punta a distruggere l’esistenza di una persona e assume sempre nuovi profili. Ecco quali

Revenge porn

Revenge porn o revenge pornography, sono espressioni della lingua inglese che indicano la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internetsenza il consenso dei protagonisti degli stessi. Sono espressioni traducibili in lingua italiana in porno vendetta o vendetta pornofotografica. In alcuni casi si tratta di immagini sono state immortalate da un partner intimo occasionale oppure un ex compagno stabile con consenso della vittima. Tuttavia purtroppo, in altri casi, sono stati acquisiti senza che la vittima ne fosse a conoscenza, o ancora più grave, la persona offesa è vittima di violenza sessuale, che viene immortalata nelle stesse immagini o video in questione. Il fenomeno è presente anche in ambito minorile, tra i quali è diffusa la pratica del sexting, ovvero, dell’invio di immagini intime come pratica di coppia. In questi casi influisce pesantemente la mancanza di educazione e formazione degli stessi, che spesso si ritrovano in un pericoloso votice che confonde i piani della realtà e del virtuale, in totale assenza di coscienza del rispetto della persona morale, etico ma anche giuridico (che attiene alle possibili conseguenze penali).

Intento di vendetta o estorsione al fine di distruggere la vittima

La denominazione revenge porn afferisce al caricamento di materiale sessuale esplicito per vendicarsi dopo la fine di una relazione, ma spesso il termine viene utilizzato anche in contesti non propriamente vendicativi, come la distribuzione di pornografia senza consenso. L’effetto immediato del fenomeno, che può concorrere con altri delitti come stupro facilitato dai narcotici (droga dello stupro), diffamazione, atti persecutori, è la distruzione della identità altrui, tramite una denigrazione totalizzante, il “marchio di infamia” che vuole sollecitare, ma anche tramite la paura di proseguire la propria esistenza, a motivo di una sfera intima ormai totalmente offerta alla mercé di chiunque. Spesso è volta ad annichilire sadicamente la persona odiata anche inducendola al suicidio (come nel tristemente noto caso Cantone, oppure come pratica estortiva come nel caso di Legano conclusosi pochi giorni fa con l’arresto di un uomo che aveva richiesto ad una donna con la quale aveva avuto una breve relazione 5.000 euro per non diffondere i video intimi della cinquantenne, della quale era rimasto in possesso. Se la  pubblicazione avviene con lo scopo di ritorsione o vendetta, le immagini sono spesso accompagnate da sufficienti informazioni per identificare il soggetto ritratto, tipicamente i nomi, gli pseudonimi, le posizioni geografiche oppure altre informazioni sui social media, indirizzi delle abitazioni o del posto di lavoro riconducibili alla vittima.

La norma

L’introduzione del reato in Italia si deve all’emendamento presentato dalla parlamentare Federica Zanella. La legge 19 luglio 2019, n. 69, introduce quattro nuove fattispecie di reato per la tutela contro la violenza domestica e di genere, prevede sanzioni per il fenomeno, stabilendo all’articolo 10 che “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.

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La stessa pena si applica a chiavendo ricevuto oppure acquisito le immagini o i video delle quali al comma 1, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa oppure se i fatti sono commessi attraverso l’utilizzo di strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere esclusivamente processuale. Si procede d’ufficio nei casi dei quali al comma 4, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.