Se il gatto soffre mentre si é via per le ferie può essere reato

Le ferie sono vicine e le vacanze già prenotate: resta da capire se per la legge il gatto può rimanere in casa e se soffre che succede?

il gatto soffre

Nelle settimane più calde di agosto il tema è altrettanto scottante quanto il sol leone. La problematica si fa presente per chi (come milioni di italiani), ha accolto in casa propria un animale da compagnia: come fare se si è deciso di partire verso una meta turistica? Ogni tipologia di animale, ha di per se delle caratteristiche, così come a sua volta ogni singolo animale. Se perciò il nostro animale è una specie (ed ha un carattere) che riesce a ben metabolizzare lo spostamento e il cambiamento di ambiente,  pur di viaggiare con il proprio “umano”, allora la scelta cadrà sul cercare di pianificare la vacanza usufruendo di strutture pronte ad accogliere i nostri amici animali. Diversamente ci si può rivolgere a pensioni bene qualificate (pubbliche o private), che offrono ormai alti standard alberghieri.

Animali abitudinari: come fare?

Ma non sempre all’animale fa bene seguire il proprio umano di riferimento in vacanza.  Se il quadrupede di famiglia è un gatto (o più gatti) ad esempio, bisogna fare attenzione. I gatti hanno (diversamente da quanto narrato da leggende metropolitane), un profondo attaccamento al loro proprietario, istaurando legami fortissimi e pieni di pathos e sentimento, una intelligenza spiccata e rispettosissima fedeltà. Tuttavia accusano tantissimo il colpo della variazione dell’habitat al quale sono abituati, poiché tramite piccole conquiste del territorio quotidiane, fatte di segni distintivi (ad esempio il loro odore), acquisiscono sicurezza e tranquillità. Questa tranquillità può essere scossa da un repentino distacco dal loro ambiente, un viaggio, magari in auto, treno o aereo che scuote le loro certezze (e anche le loro sensibilissime orecchie) ed infine l’inserimento in un nuovo ambiente a loro sconosciuto.

Se la casistica rientra in quanto appena descritto le soluzioni sono due. Fermo restando che sarebbe consono far rimanere l’animale a casa si può:

  • Ricorrere a dei veri e propri “catsitter”, che dovranno essere selezionati per tempo per poter avere la nostra fiducia, sia per il fatto che gli affidiamo il nostro adorato cucciolo, sia perché dovranno frequentare la nostra abitazione in nostra assenza.
  • Oppure ricorrere a parenti, amici o vicini che si occuperanno di coccole, cibo, acqua e pulizia per il vostro periodo di assenza.

Gatti: quando è abbandono in casa?

Ma esiste la possibilità che tale soluzione si configuri come abbandono dell’animale? Dopo quanto tempo?

La legge contempla il reato di abbandono di animali che è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Si tratta di un reato contravvenzionale, per il quale non è richiesto il dolo ma è sufficiente la colpa.

La norma si riferisce a tutti gli «animali domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività», dunque comprende sicuramente i gatti; ma non indica in cosa consista l’abbandono, anche se specifica che «alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».

A colmare il vuoto è intervenuta la giurisprudenza, che ha stabilito un criterio in base al quale l’abbandono si configura quando l’animale è lasciato solo per periodi protratti, senza nessuno che si prenda cura di lui.

Il bene giuridico protetto dalla legge è il benessere degli animali, essendo esseri “senzienti”, dunque il loro diritto alla “non sofferenza” che qui assume rilievo nel diritto a non essere abbandonati, rimanendo privi di attenzioni materiali ed affettive.

È chiaro che gli animali domestici sono esseri viventi dotati di una propria sensibilità psicofisica, provano pertanto sentimenti, emozioni e pertanto sono capaci di provare dolore ed essere feriti anche psicologicamente quando sono costretti a subire la mancanza delle cure necessarie, che come abbiamo visto non sono soltanto materiali.

il gatto soffre

Cosa dice la Cassazione

Un caso emblematico in tal senso è quello recentemente deciso dalla Corte di Cassazione (Sez. 3 Pen. 3157/20) che ha confermato la condanna al pagamento di 1.500 euro di ammenda ad una donna che era andata in vacanza affidando i suoi tre gatti ai figli minorenni, che tuttavia concretamente non si erano occupati degli animali.

I gatti erano pertanto stati ritrovati in pessime condizioni dai Carabinieri e dalle guardie zoofile, intervenuti a seguito di segnalazione: rinchiusi in un’unica camera, affamati ed assetati perché rimasti senza cibo, con poca acqua stagnante nella ciotola e con la lettiera sporca e completamente satura; anche i mobili e i divani erano ricoperti da escrementi ed urine.

In questo caso gli Ermellini hanno ritenuto che in questo stato i gatti fossero detenuti “in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”. D’altro canto, i figli della proprietaria erano minorenni, vivevano in un’altra casa, si recavano nell’appartamento dove erano collocati i gatti solo a giorni alterni; ma soprattutto, vista l’età, erano “prevedibilmente inadeguati al compito loro assegnato” di accudirli, e ciò ha fondato la colpa della proprietaria.

Pertanto, prosegue la sentenza: “l’imputata, a fronte del lungo periodo di assenza e della impossibilità di avvalersi di un sostituto adeguato per la cura dei propri animali domestici, avrebbe dovuto affidare i gatti ad una struttura, pubblica o privata, di custodia e cura”.

La Suprema Corte ha evidenziato che: “la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza”. Pertanto i gatti possono essere trattati attingendo ad: “le acquisizioni delle scienze naturali” circa le caratteristi psichiche e fisiche di questi animali da compagnia.

La Cassazione ha proseguito spiegando che: ”le gravi sofferenze non vanno necessariamente intese come quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche i meri patimenti”, asserendo pertanto che: “assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione”.

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I giudici della Suprema Corte hanno precisato che “la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo dell’abbandono, deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere”.

Ed infatti anche in precedenti pronunce della Suprema Corte “è stato ritenuto integrato il reato anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione” .

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Alla luce della sentenza richiamata, possiamo concludere che non esiste un tempo massimo limite entro il quale il gatto può essere lasciato in casa senza il suo “umano”, né in se può determinarsi per questo l’abbandono, ove la scelta non solo sia magari fatta nel suo interesse ma abbiamo assegnato con perizia a qualcuno l’accudimento e la garanzia del suo benessere.