Il locatore, nel caso di giudizio di intimazione di sfratto per morosità, può opporsi o chiedere la concessione del “termine di grazia” al fine di scongiurare la risoluzione del contratto.

Ti sarà capitato, o sarà capitato ad un amico, di ricevere un’intimazione di sfratto per morosità relativamente ad un appartamento preso in locazione.
Ebbene, l’intimazione è quell’atto attraverso cui il proprietario dell’immobile, ossia il conduttore, chiede al Giudice che il contratto sia dichiarato risolto appunto perché il canone non viene più pagato, nonché la conseguente restituzione dell’immobile.
Cosa può fare il conduttore?

In questi casi l’art. 665 c.p.c. prevede che il locatore si possa opporre allo sfratto – ad esempio perché invece ha pagato – dando quindi vita ad un vero e proprio giudizio.
Infatti, la Norma prevede che se il conduttore si oppone allo sfratto facendo valere le proprie ragioni, ma le stesse non sono fondate su prova scritta, qualora il locatore ne faccia richiesta, il Giudice, a meno che non vi siano gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza di rilascio. Le eccezioni sollevate verranno invece coltivate nel giudizio di opposizione, che è il giudizio di merito.
Può accadere, comunque, che nella prima udienza il locatore cambi idea e, invece di coltivare l’opposizione, decida di chiedere il “termine di grazia” che altro non è che il termine di ulteriore tre mesi (massimo tre mesi) per pagare tutta la morosità oltre alle spese legali. Il termine di grazia può essere richiesto una sola volta in un anno ed è previsto solo per le locazioni ad uso abitativo.
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E cosa succede nel caso di richiesta del “termine di grazia”?
Interessante in tema è la sentenza della terza sezione di Corte di Cassazione n. 19772/2003 poiché espressamente indica che non è necessario rinunciare all’opposizione per formulare tale richiesta – diametralmente opposta all’opposizione – ma basta indicare, in via subordinata che, al fine di evitare la risoluzione del contratto, si chiede la concessione di tale termine per sanare la morosità.
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Ebbene, in tali casi, secondo la Corte, il conduttore manifesta implicitamente una prevalente volontà solutoria incompatibile con quella di opporsi alla convalida, che comunque non può più ritenersi condizionata alla mancata proposizione dell’opposizione, bensì del mancato pagamento dovuto nel termine che invece ha carattere perentorio.
Quindi, il mancato adempimento da parte del conduttore nel termine perentorio indicato dal Giudice comporterà l’emissione dell’ordinanza di convalida di sfratto ex art. 663 c.p.c..