Infortunio per una buca: chi paga se cadi per strada

Che cosa succede se percorri una strada dissestata o con il fondo rovinato e divelto, cadi e ti fai male? Ecco tutte le risposte.

Risarcimento del danno da caduta

Ai sensi dell’art. 2051 c.c. infatti, l’Ente comunale è responsabile, nella qualità di custode della strada, ai sensi e per gli effetti degli art. 2051 c.c.

La Suprema Corte, stando ad un non recente orientamento, aveva inizialmente escluso l’applicabilità della norma in esame ritenendo per converso applicabile l’art. 2043 c.c. con l’elaborazione del concetto di “insidia” e “trabocchetto” che deriverebbe da una situazione di pericolo occulto, per il carattere oggettivo della non visibilità e soggettivo della non prevedibilità considerato nella sua funzione di indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della P.A. (Cass. n.2244/69; 2850/97; 1571/04).

A partire dagli anni ’80 si è assistito ad un cambio di rotta che ha indotto la Suprema Corte ad affermare l’applicabilità dell’art.2051 c.c. anche nei confronti della P.A. seppur limitatamente ai beni demaniali o patrimoniali di non notevole estensione e come tali non suscettibili di generalizzata e diretta utilizzazione da parte della collettività quali: la rete fognaria, le pertinenze di una stazione ferroviaria, una villa comunale.

L’elemento che è stato causa di aspri contrasti tra i giudici si è sviluppato tra un’interpretazione favorevole ad escludere la presunzione di responsabilità per quei beni demaniali come le strade pubbliche, oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte della collettività ed un’altra, orientata invece nel senso di evitare un automatismo interpretativo (Cass. Civ. n.5669/10; n.15383/06; Tribunale di Roma 15 aprile 2015).

La giurisprudenza maggioritaria ravvisa l’ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c. ogni qualvolta il danno si verifica nell’ambito del dinamismo connaturato della cosa, il custode ha il preciso onere di attivarsi affinché la res, proprio nella sua naturale interazione con il contesto circostante, non abbia a causare danni. Verificatosi il danno, quindi, più alta era nel danneggiato, l’aspettativa a che lo stesso non venisse causato dalla res (in ragione del fatto che il custode aveva l’obbligo di adoperarsi per evitare proprio che da quella cosa derivasse quel danno) più alto il grado di certezza che lo stesso debba ascriversi proprio a quella cosa e, pertanto, sul piano della responsabilità al custode medesimo.

È il Comune a dover vigilare sul centro abitato

E’ il Comune che paga

Quanto appena esposto appare tanto più vero se si considera che gli abitanti di un centro abitato, soprattutto se di modesta estensione, si attendono che lo stesso sia costantemente oggetto di manutenzione e vigilanza, così da evitare che sia fonte di danno alla loro integrità personale.

Nell’ipotesi in cui, quindi, si cada a causa di una buca sul manto stradale non visibile e non segnalata, il fatto concreta pacificamente una responsabilità del custode, reo di non essersi attivato nel rimuovere una fonte di pericolo, ovvero quanto meno di non averla segnalata con mezzi idonei.

In tal caso, a nulla gioverebbe affermare, per sostenere l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c., la non controllabilità dello stato dei luoghi in considerazione del fatto che al convenuto non è comunque impedita …la possibilità di svolgere un’adeguata attività di vigilanza, che sia in grado di impedire l’insorgere di cause di pericolo per gli utenti…(Cass. 13 gennaio 2003 n. 298, cit).

Sebbene inizialmente i giudici di merito abbiano individuato espressamente nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità oggettiva (dalla quale il custode può essere esonerato solo attraverso la dimostrazione dell’esistenza di un elemento in grado di escludere il nesso causale fra la cosa ed il fatto dannoso prodotto) la Corte di Cassazione, con la sentenza n.5031 del 20 maggio 1998, si è pronunciata espressamente per la responsabilità oggettiva intesa però nel senso che la responsabilità per danni da cosa in custodia non si fonda su di un comportamento o un’attività del custode, ma su di una relazione intercorrente tra questa e la cosa dannosa.

In tale ottica, con la successiva sentenza n.3651/2006, la Suprema Corte ha riconosciuto espressamente l’inconsistenza delle nozioni di insidia e trabocchetto sul presupposto che dette categorie concettuali si tradurrebbero spesso in un’ingiustificata posizione di privilegio del custode che tradisce lo spirito e la lettera dell’art. 2043 c.c. decretando quindi la scomparsa delle due nozioni quanto meno nella loro qualificazione di presupposti obbligatori del risarcimento.

La norma dell’art. 2051 c.c. inquadra i soli danni cagionati dalla cosa in custodia, e quindi il fatto della cosa in contrapposizione al fatto dell’uomo attuato per mezzo della cosa che invece rientra nel contesto della norma di cui all’art.2043 c.c., e sottolinea quindi la centralità del nesso causale fra l’evento lesivo e la res, segnando altresì come il rapporto di custodia altro non è se non la relazione di appartenenza che lega il bene al soggetto chiamato a rispondere dei danni da essa prodotti, in altri termini uno stato di fatto preesistente all’evento, che non introduce in nessun caso uno standard di diligenza dovuto dal custode, nè sul piano della prova posta a carico del danneggiato, nè tanto meno su quello della prova liberatoria del fortuito.

Come fare per dimostrare il danno

È il Comune a dover vigilare sul centro abitato – Legalink

In casi simili, quindi, grava esclusivamente l’onere di dimostrare la riconducibilità dell’evento dannoso alla res, che deve tradursi nell’individuazione del cosiddetto fatto della cosa, ovvero nella dimostrazione di una partecipazione del bene in custodia al procedimento causale produttivo dell’evento dannoso che non sia degradabile a mera occasione; mentre spetterà all’Ente Comunale dare la prova che il sinistro è avvenuto per caso fortuito ovvero per colpa imputabile ad altro soggetto giuridico.

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Non solo, il semplice comportamento disattento dell’utente non sarebbe peraltro idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il danno e la res in quanto non astrattamente ascrivibile al novero dell’imprevedibile tenuto conto che l’Ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della P.A.

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Su tale responsabilità può influire la condotta della vittima soltanto laddove sia qualificabile come abnorme ovvero estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo in caso contrario rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art.1227 c.c. (Cass. Civ. n.15761del 2016). La violazione della specifica norma di condotta costituisce quindi la prova sufficiente della colpa della P.A..