Nel momento dell’addio nel matrimonio e convivenza le questioni sono tante poiché non ci sono solo beni e figli da dividersi ma anche animali
E’ il momento dell’addio, le incomprensioni hanno prevalso, la separazione è stata richiesta congiuntamente o dichiarata da un giudice e le nuove modalità di vita da separate decise dopo mille peripezie. Per eventuali figli ci sarà ampia disposizione con diritto di visita e doveri economici precisati, mentre la divisione dei beni sarà fatta o di comune accordo oppure coadiuvati da un procedimento giudiziale … ma in caso la coppia condividesse l’affido di un animale da compagnia? Chi provvederà alle spese per il mantenimento degli animali domestici? Il cane, il gatto e gli altri animali domestici non possono essere divisi in due come gli altri beni che erano in comunione, ma possono essere altresì trattati come i figli per deciderne l’ affidamento?
Nei casi più pacifici si è probabilmente addivenuti ad una decisione che stabilisce che l’animale/gli animali possano vivere con uno dei due, ma l’altro potrà andare a trovarlo e, se vorrà, portarlo al parco. A lungo andare che i rapporti rimangano civili oppure si deteriorino nel tempo nella loro serenità, potrebbe insorgere la necessità di mettere nero su bianco un accordo che descriva le dinamiche e le regoli. Ma in Italia che valore può avere un accordo di questo tipo? C’è un orientamento giurisprudenziale che indica che un giudice sia tenuto ad omologarlo?
La questione è stata più volte affrontata in verità dalla giurisprudenza e, recentemente da due sentenze che postulano orientamenti opposti in merito alla questione ovvero, se si possa applicare agli animali di compagnia le disposizioni previste in materia di figli minori durante la separazione dei coniugi, datosi che nel nostro ordinamento manca effettivamente una norma di riferimento che disciplini l’affidamento degli animali domestici in caso di separazione o divorzio dei coniugi o dei conviventi.
La prima pronuncia che riportiamo è quella del Tribunale di Milano del 27 febbraio 2015. In questa vicenda i due, non sposati avevano intrattenuto una relazione stabile affettiva coronata da una convivenza. Dall’unione di fatto non erano nati figli ma, tuttavia, avevano accolto in famiglia un cane boxer, alla quale entrambi si erano legati affettivamente. La relazione è tuttavia giunta al capolinea nel 2013, anno dal quale i due avevano condiviso l’affido di questo animale, trascorrendo del tempo alternato e decidendo in accordo di dividere le spese per il mantenimento.
A ricorrere al giudice tuttavia è l’uomo, atteso che dopo qualche tempo rilevasse che gli accordi venissero regolarmente disattesi. Pertanto lo stesso chiedeva l’ intervento del giudice al fine di provvedere all’affidamento del cane, alla regolamentazione dei tempi di permanenza presso l’uno e l’altra, nonché alla suddivisione delle spese sostenute nell’interesse del cane.
Il Tribunale si pronuncia in questo caso negativamente poiché: “ritenuto che il ricorso sia inammissibile: non si mette in dubbio il principio espresso dalla giurisprudenza di merito nel senso di riconoscere all’animale da compagnia la qualità di «essere senziente», così pure riconoscendo un vero e proprio «diritto soggettivo all’animale da compagnia»; ma ciò non giustifica, fuori da una cornice disegnata dal legislatore, l’istituzione di «diritti d’azione» inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa”. In sostanza pur riconoscendo l’essenza senziente dell’animale da compagnia, non riconosce il “diritto d’azione” per far valere gli accordi poiché non è previsto dalla vigente legge.
Il Decreto del giudice continua asserendo che: “non rende per ciò solo possibile giungere, in diritto, ad equiparare i figli minori agli animali da compagnia, posto che i primi solo (e non i secondi) sono persone fisiche sia nella trama codicistica di diritto interno che nella legislazione sovranazionale”.
Di avviso diametralmente opposto, sono i giudici di Roma nella sentenza del 15 marzo 2016. In questo caso a ricorrere presso il Giudice era stata una donna, che aveva intrattenuto una relazione sentimentale con relativa convivenza con un uomo, durante la quale avevano adottato un cucciolo di cane regolarmente registrato all’anagrafe canina e microchippato a nome della signora. Il rapporto come pure la convivenza erano terminati ed il cane era rimasto ad abitare con la donna, che concedeva tuttavia le visite al suo ex convivente al fine di far frequentare l’animale allo stesso. Mentre il cane si trovava a casa dell’uomo per trascorrere il week end, la donna aveva ricevuto il diniego alla restituzione dell’animale da parte dello stesso fino ad un certo punto non darne più notizie alla ex compagna, che aveva pertanto deciso di ricorrere al giudice al fine di ottenere l’intimazione alla restituzione del cane e un risarcimento di euro 15.000 per i danni cagionati dall’illegittima detenzione. E’ importantissimo esaminare questo orientamento giurisprudenziale che risulta essere attualmente quello prevalente.
Infatti leggiamo questo interessante incipit motivativo: “Nel nostro ordinamento manca una norma di riferimento che disciplini l’affidamento di un animale domestico in caso di separazione dei coniugio dei conviventi. Come spesso accade, il legislatore è in ritardo rispetto al mutamento del costume e delle problematiche sociali (basti pensare che solo nel 2012 ha equiparato completamente lo status di figlio naturale a quello legittimo e che il riconoscimento giuridico dell’unione tra persone dello stesso sesso è attualmente causa di un’acerrima battaglia politica).
In pratica quella che viene chiaramente espressa è la convinzione che la lacuna normativa non costituisca l’impossibilità di statuire a riguardo, dato che il ritardo normativo, anche in diritto di famiglia è storicamente avvenuto per temi altrettanto rilevanti rispetto ai tempi correnti. Si legge infatti inoltre che: “Sempre più frequenti, infatti, i casi in cui coniugi o, comunque, persone che in regime di convivenza hanno posseduto un animale domestico, si rivolgono al giudice, costretto a creare un principio giuridico, per il suo affidamento.”.
Si decide nello stesso provvedimento di evidenziare ed applicare un principio tipico delle decisioni in merito all’affidamento dei figli minorenni, ovvero di considerare “l’interesse e il bene” del minorenne(in tal caso dell’animale)” come interesse superiore da preservare, pertanto si dichiara che: “nel caso di specie, considera che il regime giuridico in grado di tutelare l’interesse materialespirituale-affettivo dell’animale,contemperandolo, peraltro, con l’interesse, affettivo sia di parte attrice chedi parte convenuta, sia l’affido condiviso con divisione al cinquanta percento delle spese per il suo mantenimento (cibo, cure , ecc.)”.
Si conclude pertanto che: “È indubbio, quindi, che il cane si sia affezionato ad entrambe, le abbia identificate entrambe come i suoi «padroni», termine poco piacevole, e si sia abituato, per circa tre anni, a vivere, a periodi alterni, con uno solo di loro, in abitazioni e luoghi diversi, condividendo abitudini di vita diverse.”. Proprio a tal ragione la decisione sarà assimilabile a quanto disposto per l’affido condiviso dei figli minorenni in sede di separazione personale tra i coniugi, ovviamente sorvolando sul fatto che non vi fosse matrimonio fra le parti, rilevando ormai l’ orientamento che assimila la convivenza stabile all’istituto giuridico matrimoniale.
Come anticipato quindi e ben spiegato nell’ultimo riferimento giurisprudenziale richiamato, la tendenza è superare la lacuna normativa che non contempla la casistica specifica in attesa di un “bradipismo normativo”, applicando la disciplina e i principi applicati in materia di affidamento dei figli minorenni in sede di separazione e divorzio tra coniugi.