L’esigenza di «non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri» ha reso incompatibile la irrogazione di una sanzione detentiva.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 150 del 12 luglio 2021 ha condiviso tale esigenza rilevata dalla Corte Costituzionale nella ordinanza n. 132 del 2020 e sulla quale ha molto insistito la Corte EDU .
La decisione.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 150 ha ritenuto la illegittimità costituzionale dell’art. 13 della L. 47 del 1948 in riferimento agli artt. 21 e 117, primo comma della Costituzione in relazione all’art. 10 CEDU.
La funzione della disposizione censurata, precisa la Corte, è unicamente quella di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto in via generale dall’art. 595 cod. pen.
Tale inasprimento sanzionatorio risulta in termini incompatibili con l’art. 21 Cost., oltre che con l’art. 10 CEDU, pertanto la Corte Costituzionale ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale nella sua interezza.
Tale dichiarazione di incostituzionalità non crea alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen.
Sia la reputazione individuale, diritto inviolabile strettamente connesso alla dignità della persona, sia la libertà di espressione (diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti) che costituisce un pilastro di ogni ordinamento democratico devono essere garantite e tutelate.
La diffamazione deve essere di eccezionale gravità.
La Corte poi ricorda che le aggressioni illegittime alla reputazione compiute attraverso la stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicità cui si riferisce l’art. 595, terzo comma, cod. pen. (la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via), possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime e creare enormi danni anche a distanza di anni.
Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall’ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento tra le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare.
Tra questi strumenti non può in assoluto escludersi la sanzione detentiva, sempre che la sua applicazione sia circondata da cautele idonee ad evitare il rischio di indebita intimidazione esercitato su chi svolga la professione giornalistica.
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Si deve infatti ritenere che l’inflizione di una pena detentiva in caso di diffamazione compiuta a mezzo della stampa o di altro mezzo di pubblicità non sia di per sé incompatibile con le ragioni di tutela della libertà di manifestazione del pensiero nei casi in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità.
Ipotesi di eccezionale gravità possono ritenersi quelle che istigano alla violenza o all’odio, che possono nel caso concreto connotare contenuti di carattere diffamatorio, campagne di disinformazione attraverso la stampa, internet o social media che diffondano notizie gravemente lesive della reputazione della vittima.