Il contratto di locazione ai tempi del Covid. Diritti del locatore e del conduttore

Locazione e Covid: il conduttore può chiedere la riduzione del canone o la risoluzione del contratto, il locatore non sembra aver diritti.

Il contratto di locazione ai tempi del Covid. Diritti del locatore e del conduttore – Legalink

La Pandemia da Covid-19 ha creato dei gravissimi problemi, anche nei rapporti di locazione tra conduttore e locatore.

Infatti, mentre il conduttore, prostrato dalla chiusura dell’attività non ha goduto integralmente dell’immobile e può chiedere sia una riduzione del canone, sia la risoluzione del contratto per quanto previsto dal Codice Civile, il locatore da parte sua, il quale si trova a non ricevere più il pagamento di quanto convenuto contrattualmente e magari a dover pagare per quello stesso immobile un mutuo e l’IMU, sembra non avere alcuna tutela.

Anzi, alcune ultime sentenze hanno visto ridurre proporzionalmente il canone di locazione dai Tribunali sulla scorta del parziale mancato godimento, malgrado, appunto, non si consideri la posizione del locatore il quale, in realtà, sembra non poter far nulla. Ebbene, il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 6572/2021 ha indicato precisi ed interessanti concetti in virtù dei quali le parti dovrebbero muoversi.

In sostanza ha indicato non solo che i D.P.C.M. adottati non costituiscono fonte normativa e quindi per la loro applicazione devono essere allegati alle proprie difese non potendo essere solo richiamati, ma anche che il locatore non è obbligato a trovare un accordo con il conduttore, contrario ai suoi diritti contrattuali e che ritenga antieconomico.

Finalmente una pronuncia anche a favore del locatore

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Infatti, nel caso di cui alla pronuncia, l’intimata che si era opposta allo sfratto non contestava la morosità, ma si limitava a sostenere che la stessa era stata determinata dalle misure restrittive dettate con D.P.C.M. in materia di Covid-19 dal Governo Italiano, e che vi sarebbe stata la violazione dei doveri di correttezza, buona fede e diligenza di cui agli artt. 1338, 1374, 1575 e 1175 c.c. da parte del locatore, essendosi questo opposto ad ogni forma di accordo.

Il Tribunale così si pronuncia: “…Sul punto, deve evidenziarsi quanto segue. I richiamati DPCM, adottati durante l’emergenza sanitaria e per affrontare la stessa, non assurgono a fonte normativa, essendo, semmai, partecipi della medesima natura delle ordinanze contingibili ed urgenti, le quali – secondo l’orientamento più convincente, persuasivo, e meglio considerante la c.d. innovatività delle fonte normative – sono meri provvedimenti amministrativi, semmai generali, ma privi di valenza normativa (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 11/12/2013, (ud. 14/02/2012, dep. 11/12/2013), n. 5973, nonché Sez. U – , Sentenza n. 20680 del 09/08/2018, Rv. 650273 – 01, citante la natura provvedimentale).

Dalla natura provvedimentale e non già normativa dei DPCM de quibus deriva l’esclusione degli stessi dal principio iura novit curia e l’afferenza dei medesimi all’onere probatorio gravante in capo alla parte (in tal senso ed ex multis, Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 25995 del 15/10/2019, Rv. 655448 – 01).

Nel caso di specie nessuno dei D.P.C.M. è stato prodotto. Ad ogni buon conto deve evidenziarsi come “La violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso” (Corte di Cassazione, SS. UU., sen. n. 24675/2017). Dunque l’esercizio di un diritto contrattuale da parte del Sig. …………… non può essere considerato, in sé, violativo dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede.

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Quest’ultima impone al paciscente di attivarsi in favore dell’altro contraente ma “nei limiti dell’interesse proprio” (Cass.23069/2018) ovvero “nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori” (Cass.17642/2012) ovvero “nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio a suo carico” (Cass.10182/2009; Cass.15669/2007; Cass.264/2006; Cass.2503/1991) ovvero sempre che “non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse” (Cass.5240/2004). Appare di chiara evidenza che la rinuncia ad un proprio diritto contrattuale per addivenire ad un accordo costituisca certamente un apprezzabile sacrificio che non può essere preteso.”