Se il datore fallisce: spesso accade che un operaio o dipendente non venga pagato perché il datore di lavoro non è stato pagato a sua volta
A questo punto, il lavoratore a chi può chiedere di essere saldato? Se nel frattempo il proprio datore di lavoro fallisce o semplicemente sparisce? Nel caso di specie la Legge prevede un vantaggio per il lavoratore, il quale può rivolgersi, al fine di essere remunerato, non solo al proprio datore di lavoro, ma anche al suo committente, o, nel caso di subappalti, anche agli altri subappaltanti fino al primo committente.
Ciò in base al principio che è proprio il committente a godere della prestazione del lavoratore e, come tale, lo deve soddisfare economicamente pagandone la prestazione. Attenzione però: il lavoratore deve aver solto le proprie mansioni unicamente in favore di quel dato committente, altrimenti non può dirsi che la prestazione debba essere da quest’ultimo remunerata. Quindi, se svolge più mansioni per diversi committenti, non gli sarà possibile qualificare e quantificare la propria prestazione.
La Legge ha quindi previsto una responsabilità solidale tra committente ed appaltatore in favore del lavoratore subordinato.
Il principio, oltre ad essere cardine con l’art. 1676 c.c., applicabile sia nel lavoro pubblico che in quello privato, è stato consolidato anche dall’art. 29 co. 2 D.Lgs 276/2003 che prevede la responsabilità solidale in capo al committente sia con l’appaltatore che con eventuali ulteriori subappaltatori per la corresponsione dei trattamenti retributivi e contributi previdenziali non riconosciuti ai lavoratori impiegati nell’appalto.
Il secondo comma di suddetta Norma infatti prevede: “ In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro e’ obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.”
Ciò significa quindi, che nel termine massimo di un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore può chiedere il pagamento delle somme dovutegli anche al committente ed indipendentemente se quest’ultimo ha pagato l’appaltatore il quale poi, ha deciso di non pagare il lavoratore. Tle disciplina è applicabile però al solo lavoro intercorrente con un Datore di lavoro privato, essendo escluse le pubbliche amministrazioni nonché le società a maggioranza di partecipazione pubblica.
Tale garanzia per il lavoratore, che lo tutela anche nel caso in cui vi sia stato pagamento, non opera nella diversa fattispecie prevista dall’art. 1676 c.c.. Tale Norma prevede: “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.”
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La Giurisprudenza afferma che per l’azione debbano sussistere quattro presupposti: a) l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un imprenditore che, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, esercita un’attività diretta al compimento di un’opera o di un servizio nei confronti di un determinato committente verso un corrispettivo (art. 1655 c.c.); b) l’esecuzione della prestazione lavorativa per il compimento di quella particolare opera o di quello specifico servizio commissionati da quel determinato committente; c) l’esistenza di un credito di lavoro in capo ai lavoratori, inadempiuto da parte dell’appaltatore o datore di lavoro (art. 2099 e segg. c.c.); d) l’esistenza di un credito dell’appaltatore verso il committente in relazione al compimento dell’opera o del servizio commissionatogli.
Quindi, anche in tale secondo caso vi è una tutela per il lavoratore, ma nell’applicare tale disciplina dovrà essere attendo perché dovrà dimostrare che vi sia un credito dell’appaltatore verso il committente in relazione al compimento dell’opera o del servizio.