Commercializzazione della Cannabis per finalità diverse: tra gli indici rivelatori anche la coltivazione in serra
Prima di affrontare la massima enunciata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 16155 del 17.03.21 occorre precisare che in tema di produzione e traffico di droga l’art. 73 del DPR 309/90 è la norma di riferimento per i reati in materia di stupefacenti.
L’Art. 73 DPR 309/90
Tale norma recita così al primo comma: “chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa e spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’art. 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”. Le predette condotte, sono meno lievi se riferite alle sostanze di cui alla tabella I dell’art. 14, cioè le c.d. “droghe pesanti” oggetto della lotta internazionale contro le droghe, come l’oppio e i suoi derivati, gli allucinogeni, l’amfetamina e sostanze affini, le foglie di coca e derivati. Mentre, come dispone il comma 4 dell’art. 73 DPR 309/90, se le condotte sono riferite alle tabelle II e IV previste dall’art. 14, cioè alle droghe leggere come la cannabis, si applicano sanzioni più lievi. Per quanto riguarda l’autorizzazione di cui all’art. 17 del medesimo DPR ci si riferisce invece all’obbligo di autorizzazione del Ministero della Sanità (ad esclusione delle farmacie), per chiunque intenda coltivare, produrre, fabbricare, impiegare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti o psicotrope.
Non bastano le fatture e i cartellini per individuare la finalità illecita
Con la sentenza n. 16155 del 17.03.21, la Suprema Corte di Cassazione, in riferimento ad un caso di coltivazione di canapa autorizzata ex art. 17 DPR 309/90 ha enunciato la seguente massima: “in tema di stupefacenti, integra il reato di cui all’art. 73 comma 4 dpr 9 ottobre 1990 n.309, la coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art.17 direttiva 2002/53/Ce del consiglio del 13 giugno 2002, da parte del coltivatore diretto, allorquando emerga la prova di una finalità diversa da quella indicata dall’art. 2 L. 2 dicembre 2016 n.242” (Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa denominata scientificamente cannabis sativa L.)
Gli indici rivelatori: condotta reticente e coltivazione in serra
In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto “immune da censure il provvedimento del tribunale del riesame che aveva considerato come indici rivelatori della finalità di commercializzazione del prodotto per usi diversi da quelli consentiti, le modalità della coltivazione in serra anziché in campo e la condotta reticente dell’indagato, non essendo sufficiente a dimostrare la liceità della coltivazione la conservazione dei cartellini e le fatture della semente acquistata, né la qualifica di coltivatore.” Nel caso di specie infatti, a causa della reticenza dell’indagato, solo l’intervento dell’unità cinofila aveva consentito l’individuazione della serra, i cui prodotti erano stati genericamente dichiarati destinati ad un’azienda. In ogni caso, ancora una volta la Suprema Corte conferma la necessità di verificare l’applicazione della normativa sugli stupefacenti caso per caso.