Il contratto di mantenimento non è un contratto tipico, ma è un contratto elaborato dalla prassi, e quindi dalla Giurisprudenza, per soddisfare esigenze di assistenza personale future e mutevoli che sarebbero difficilmente assolte ricevendo una rendita o vendendo la sola nuda proprietà di un immobile.
La ratio di tale contratto sta nella necessità di cure e sostegno da parte di coloro che lo stipulano, di solito da parte di persone anziane o comunque bisognose, le quali pertanto acquistano l’assistenza loro necessaria – sia morale, che materiale, che economica – cedendo in cambio la nuda proprietà del proprio immobile e mantenendone l’usufrutto.
Tale tipo di contratto, che si stipula di fronte ad un Notaio, è quindi un contratto che è d’aiuto alle persone di solito anziane, bisognose di assistenza, che dispongono di uno o più beni immobili e, di contro, non hanno nessuno che possono o vogliono prendersi cura di loro, sia economicamente, sia moralmente (ad esempio hanno solo parenti non prossimi, parenti lontani, figli con cui hanno litigato, etc…).
Infatti, se si trattasse solo di esigenze economiche, basterebbe vendere la nuda proprietà del proprio immobile così da non avere più problemi economici.
In sintesi, si tratta di un contratto aleatorio con cui una parte, in cambio del trasferimento della nuda proprietà di un bene in suo favore, si obbliga a prestare assistenza morale e materiale ad un’altra per tutta la durata della vita di quest’ultima.
Gli elementi caratteristici del contratto in questione sono quindi: a) obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni infungili, eseguibili unicamente da un soggetto individuato per le sue qualità personali; b) doppia alea che presuppone una situazione di incertezza circa la vita del beneficiario e l’entità delle prestazioni indeterminabili per quantità e qualità, variando continuamente in base allo stato di bisogno del beneficiario; c) proporzionalità delle prestazioni.
Nel caso non vi fossero tutti questi elementi il contratto potrebbe essere dichiarato nullo su istanza dell’erede poiché lo stesso potrebbe simulare una donazione lesiva dei diritti di quest’ultimo.
Si immagini il figlio che si aspetta di ereditare la casa del genitore e poi si trova che lo stesso aveva stipulato questo tipo di contratto qualche tempo prima della sua morte.
Per definire chiaramente gli elementi caratterizzanti, a) lo stato di bisogno è costituito non solo dal bisogno materiale e quindi sulla necessità della persona di essere mantenuta economicamente soddisfacendo ogni sua necessità, ma anche dallo stato di bisogno pratico e morale.
Infatti, la persona potrebbe aver bisogno di compagnia, pulizia della casa, spese mediche, assistenza per le semplici commissioni (portarla dal parrucchiere, in chiesa, alle assemblee di condominio, al negozio a comprarsi un abito, in vacanza …), oppure gestire rapporti che la riguardano ad esempio con inquilini, o amministratori, etc.
Relativamente alla b) presenza della doppia alea, questa presuppone che tra le due prestazioni vi debba essere un rischio gravante su entrambe le parti, connesso alla durata della vita della beneficiaria ed alla qualità della stessa, perché è chiaro che se la beneficiaria vive a lungo, il cessionario è tenuto ad una prestazione più onerosa, come ammalandosi, avrà la necessità di ulteriori cure.
La doppia alea che caratterizza il contratto di mantenimento presuppone perciò una situazione di incertezza circa la vita del beneficiario e l’entità delle prestazioni indeterminabili per qualità e quantità, variando continuamente in relazione alle esigenze del beneficiario dell’assistenza.
Chiaramente, se la beneficiaria già soffre di una malattia inguaribile per cui è previsto dai medici che morirà entro un certo termine, tale contratto non potrà essere stipulato. In merito, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25624/17 si è già occupata della nullità del contratto apitico di mantenimento per mancanza di alea in un caso in cui il contratto prevedeva l’alienazione della nuda proprietà, dietro l’obbligo di fornire assistenza morale e materiale sino alla morte.
In tale occasione la Corte ha avuto modo di puntualizzare che l’alea manca e, dunque, il contratto è nullo soltanto ove, al momento della sua conclusione, il vitaliziato sia affetto da una malattia, che, “per natura e gravità, renda estremamente probabile un esito letale e ne provochi la morte dopo breve tempo o abbia un’età talmente avanzata da non potere certamente sopravvivere oltre un arco di tempo determinabile”.
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Qualora invece non si fornisca tale prova relativamente al prevedibile decesso a breve termine del vitaliziato, e quindi dall’istruttoria emerga che al momento della stipula del contratto la prevedibilità della durata della sopravvivenza di quest’ultimo poteva essere formulata in termini di mesi come di anni, sia tenuto conto delle possibili forme di evoluzione della malattia in atto, sia del modesto valore della nuda proprietà del bene, l’alea non poteva escludersi.
Secondo la Corte, infatti, quando è impossibile prevedere anticipatamente i vantaggi e le perdite cui le parti vanno incontro, l’alea deve ritenersi sussistente. (Cass., Sez. II Civ., 27 ottobre 2017, ordinanza n. 25624).
Vi deve quindi essere un’imprevedibile durata della sopravvivenza del vitaliziato e quindi, al momento della stipula una proporzionale situazione di incertezza tra il vantaggio e la correlativa perdita economica. In questo caso il contratto è valido e non può essere dichiarato nullo.